Come sopravvivere al turismo di massa nell’era della globalizzazione

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Viviamo nel tempo dei viaggi organizzati, del tutto compreso, del low cost, e così tutti si muovono e tutti vanno dovunque. Il viaggio, una volta per pochi eletti, è diventato un bene primario di massa, l’anno scorso oltre 1,4 miliardi di persone sono andate all’estero per turismo. Ma oggi il viaggio è sempre meno fonte di conoscenza, comprensione del mondo, incontro di culture, cambio di punto di vista e diventa un semplice e veloce consumare all’estero inconsapevole del luogo che si visita.  Al piacere della scoperta si sostituisce lo stereotipo e si torna a casa con il souvenir di conferma e con il selfie che alimenta l’egocasting imperante da social.

Una volta l’uomo era nomade, cacciatore e pastore e si spostava in continuazione per trovare nuovi prati e selvaggina, poi iniziò a viaggiare per commercio, per conquista, per pellegrinaggio, per esplorare e conoscere. L’uomo di oggi stanziale e impiegatizio ha ancora impellente la necessità di andare, ma oggi le masse che si muovono non si mescolano con il luogo, è il luogo che si adatta alla loro presenza, riproducendo comodità e sicurezza che il turista lascia a casa, organizzando tutto sotto forma di prodotto da vendere, perdendo la caratteristica di luogo vissuto.

Il turismo è diventato la prima industria del mondo e l’unica che continua a crescere nonostante la crisi, ma spesso invece di essere una fortuna per molti luoghi ha comportato il deperimento dell’ambiente, della cultura, e della vita delle popolazioni autoctone, talvolta anche dell’economia locale che si piega ai desideri del turismo di massa (spesso a beneficio solo di capitali esteri). I flussi di turisti troppo numerosi impattano su luoghi antichi e fragili poichè il business di solito non salvaguarda il luogo ma tende a massimizzare i profitti. Da qui la necessità di mitigare la presenza antropica su luoghi che non possono reggere se non stravolgendone la loro identità. Data le dinamiche crescenti di questo tipo di turismo è impellente prendere misure regolatorie e limitanti affinchè il turismo da minaccia diventi opportunità. Quando ben gestito infatti il turismo è una risorsa e permette alle popolazioni locali di avere vantaggi che altrimenti non avrebbero in termini di servizi, impianti, infrastrutture, eventi culturali, lavoro etc.

Affinchè il turismo diventi sostenibile nei casi come Venezia bisogna applicare gli strumenti forniti dall’economia digitale al concetto strategico di LIMITE; (“Darsi dei limiti è il gesto che distingue la civiltà dalla barbarie”, S.Latouche). In modo da garantire un esperienza decente di visita ma anche il diritto alla città come bisogno sociale come insieme di relazioni, esperienze, culture sviluppate nei secoli grazie al luogo e non al prezzo.

Partendo dal caso di Venezia proponiamo una soluzione (clicca QUI) al problema della domanda crescente massificata per città storiche da preservare. 

Venezia, capitale mondiale del turismo di massa, è un caso limite con 27 milioni di presenza versus i 56.000 abitanti, ma è diventato anche un case history negativo (nella pubblicistica di settore “Venice model”) poiché soffre da anni del troppo e incontrollato afflusso di turisti giornalieri mordi e fuggi, con rischio della fine di una civiltà millenaria, perdita degli abitanti, monocoltura, calo delle tradizioni locali rese merce e non vita vera.

Dopo aver assistito per anni alla mancanza di governance, e alle recenti dichiarazioni che propongono misure irrealizzabili o inefficaci, formuliamo un piano concreto per far fronte ai danni del turismo di massa. Partendo dall’impostazione di costruzione di limite che si sta facendo strada a livello internazionale, e a Venezia è condiviso da singoli cittadini, associazioni, operatori illuminati, ma che i politici non vogliono recepire nei loro programmi elettorali, dove non si legge nulla che possa veramente incidere (interessa solo prendere voti con dichiarazioni vaghe e promesse di cambiamento , “tutto deve cambiare affinchè nulla cambi” ).  Magari i cambiamenti veri fanno paura ma poi sono inevitabili e con il tempo diventano normali, e a Venezia è veramente giunto il momento di una discontinuità e provvedimenti più drastici.               –>Fuori dalla velocità e superficialità dei social media qui forse si riesce a leggere con calma e profondità. Se d’accordo mandate un segno di assenso, una condivisione vera, o in modo che diventi un lavoro collettivo dal basso date suggerimenti per migliorare non dettati dalla fretta, dalla paura, dagli interessi personali; insomma un segnale che questa impostazione è la strada per il bene di Venezia, UNO STRUMENTO PER LIMITARE IL TURISMO DANNOSO PER LA CITTA’, ne faremo una sorta di appello e solo se saremo in tanti forse non potranno ignorarci perché in fondo un minimo di democrazia esiste ancora e hanno pur sempre bisogno che qualcuno li voti.  😉 Marco Scurati

LEGGI PROPOSTA QUI

(flussiturismo@gmail.com)

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3 pensieri su “Come sopravvivere al turismo di massa nell’era della globalizzazione

  1. Mi sembra una riflessione appropriata, che indica quanto siamo rimasti indietro rispetto alla comprensione dei grandi cambiamenti in atto nel mondo del turismo, nell’atteggiamento dei viaggiatori massificati ma, anche nell’assorbimento acritico dei citrtadini e politici di questo modello devastante. La tua riflessione si innesca perfettamente con le basi del libro di Salvatore Settis, che dobbiamo coinvolgere quanto prima nel nostro progetto.

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  2. AlIa fine tutti i nodi vengono al pettine ed il tuo/nostro progetto è al momento l’unica proposta concreta attuabile in tempi brevi. Quindi avanti nel sostenerlo e farlo conoscere.

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